LA DIFFERENZA GIAPPONESE

CONVIVENZE FRA OPPOSTI SOTTO IL SOL LEVANTE
“Il Manifesto”, 26 agosto 2006

Sebbene la civiltà giapponese sia spesso considerata come una cultura in cui non c`è quasi nulla di originario e di puro, appare azzardato interpretarne i caratteri fondamentali alla luce di una categoria oggi frequentemente utilizzata, quella di ibridazione, il cui uso in senso proprio designa gli incroci tra specie differenti di organismi vegetali o animali. Hybrida in latino si dice infatti di persona che proviene da due razze differenti, e anche se l`etimologia che la collega con la parola greca ubris (violenza) è arbitraria, è presente in questa parola un riferimento allo stupro, alle invasioni e alle loro conseguenze biologiche.
Ora, nonostante nella popolazione giapponese siano individuabili tre gruppi con caratteristiche fisiche distinte, in epoca storica la popolazione giapponese risulta come appartenente a un unico gruppo etnico, eccezion fatta per gli Ainu, che costituiscono una minoranza piccolissima. A differenza della civiltà occidentale, nella quale le invasioni barbariche hanno costituito una profonda frattura storica (secondo Burckhardt l`unica vera grande crisi storica dell`Occidente), la civiltà giapponese non ha sofferto alcuna invasione e si è sviluppata in modo autonomo senza interruzione; essa costituisce perciò un caso raro nella storia dell`umanità. Il segno di questa incredibile continuità è l`esistenza attraverso tutta la storia del Giappone di una sola dinastia imperiale: l`attuale era Heisei è iniziata nel 1989 con l`ascesa al trono del 126° imperatore. Mutatis mutandis, è come se in Occidente esistesse ancora l`impero romano! E tuttavia il Giappone ha conosciuto in quindici secoli continue trasformazioni: proprio questa anomalia è un aspetto del cosiddetto "enigma giapponese", così come lo ha definito Karel von Wolferen.
D`altra parte anche un altro termine oggi spesso ricorrente, crossing, appare inadeguato per parlare del Giappone. E non solo perché la croce è il simbolo dell`Occidente, il punto d`incontro delle sue quattro tradizioni fondamentali: la greca, la romana, l`ebraica e la germanica. Più essenzialmente la croce è il simbolo assiale per eccellenza, il luogo in cui si incrociano trascendenza e immanenza. Ma la cultura giapponese è - come è stato osservato da tanti studiosi - priva di trascendenza: da un punto di vista filosofico la visione del mondo giapponese non riconosce entità o valori che trascendano le cose di tutti i giorni e sotto questo aspetto contrasta parzialmente con la mentalità cinese e radicalmente con quella indiana e occidentale.
La differenza giapponese risulta grandemente se confrontiamo la situazione del Giappone con la filosofia della civiltà elaborata da Karl Jaspers. A suo avviso, esisterebbe nella storia dell`umanità un cambiamento radicale che si manifesta intorno al 500 a.C. con il crollo delle antiche civiltà millenarie essenzialmente statiche, con la messa in dubbio della tradizione e con l`emergere di una nuova mentalità caratterizzata dall`opposizione tra immanenza e trascendenza. Tale cambiamento si manifesta in Grecia con la critica del mito e la nascita della tragedia e della filosofia, in Palestina col profetismo ebraico, in India con la predicazione di Budda e in Cina con l`insegnamento di Confucio e di Lao-tse. In opposizione a Hegel, che considerava la nascita di Cristo come l`evento capitale della storia umana e restava perciò prigioniero di una prospettiva eurocentrica, Jaspers si propone di introdurre nella filosofia della storia una prospettiva universale che attribuisca alle civiltà asiatiche una importanza pari a quella greca. L`aspetto essenziale di questa svolta è l`esperienza del conflitto: secondo Jaspers, il contenuto della libertà si manifesta nella percezione di polarità e di antitesi. Di fronte a ogni posizione si sviluppa una posizione contraria: la libertà si manifesta nella possibilità di scegliere tra due opzioni che sono sentite come incompatibili. La libertà è perduta dove viene meno la coscienza della loro inconciliabilità. L`esperienza dell`assialità è dunque connessa con la coscienza di un aut-aut, di una alternativa e con la necessità di scegliere in modo irrevocabile. Non si può più essere tutto, la libertà implica l`unilateralità della decisione: è libero solo chi può decidere. La svolta assiale, da cui secondo Jaspers nasce la civiltà, attribuisce alla irreversibilità delle scelte e alla coerenza un ruolo essenziale; è ovvio che nella sua prospettiva tutto ciò che sottraendosi alla scelta resta mescolato e ibrido, non appartiene davvero alla storia, vale a dire non ha un significato ed un valore universale. La svolta epocale avvenuta quasi contemporaneamente nel V secolo a.C. ha successivamente perduto la sua radicalità: il momento assiale è degenerato spesso in anarchia, oppure si è irrigidito in costruzioni dogmatiche (come è avvenuto nell`impero romano e in quello cinese); tuttavia fino ad oggi - secondo Jaspers - non esiste un`altra strada e coloro che sono stati estranei alla svolta assiale (come i germani e gli slavi in Occidente, i giapponesi, i malesi e i siamesi in Oriente) hanno dovuto prima o poi adeguarsi ad essa.
Questa vigorosa concezione della storia costituisce il punto di partenza di Japanese Civilization (University of Chicago Press, 1996), lo studio che il sociologo Shmuel Noah Eisenstadt ha dedicato alla civiltà giapponese, la quale è stata ed è tuttora una società non assiale, nonostante l`influenza esercitata dai modelli occidentali in seguito il rinnovamento Meiji del 1868 e l`occupazione americana del 1945-52. L`assunzione di modelli stranieri in Giappone non è una novità, ma risale alle origini stesse della storia di questo paese: infatti a partire dal 552 d.C. la corte di Yamato adottò dalla Cina non solo il buddhismo, ma perfino la scrittura, le tecniche, le arti e molti stili di vita.
Fin da allora il tratto distintivo dell`esperienza storica giapponese consisterebbe dunque in una straordinaria ricettività nei confronti delle culture straniere, alternata a lunghi periodi di chiusura nei confronti dell`esterno. Pur facendo proprie concezioni del mondo assiali come il buddhismo, il confucianesimo e la filosofia occidentale (liberale, socialista o nazionalista), il Giappone avrebbe operato una deassializzazione di queste religioni e ideologie, privandole completamente delle loro pretese trascendenti e incanalandole in una direzione immanentistica e particolaristica in accordo con l`unico elemento autenticamente giapponese, lo Shinto.
In ciascun ambito pubblico e privato (politico, economico, familiare o connesso alla creatività culturale, di natura individuale o collettiva) i giapponesi avrebbero proceduto a una decostruzione della civiltà assiale, attraverso strutture sociali di interdipendenza fondate non sulla coercizione autoritaria, ma su obbligazioni reciproche (giri) e su sentimenti più di natura estetica che morale. Questa mentalità spiegherebbe il fatto che in Giappone non ci siano state guerre di religione, né rivoluzioni sociali: le influenze provenienti dall`esterno sarebbero incorporate in un contesto che sottolinea l`importanza delle situazioni empiriche a discapito dei principi universalmente validi. Ciò spiegherebbe anche la scarsa importanza degli intellettuali portatori di ideologie, i quali in Giappone non sono mai riusciti a mobilitare vasti settori di pubblico. In altre parole, la dimensione assiale sarebbe sottoposta ininterrottamente in Giappone a una riformulazione immanente e particolaristica, che le toglie ogni pretesa di assolutezza e di esclusività. Una vasta letteratura giapponese e straniera, nota sotto il nome di Nihonjinron, ha sottolineato il carattere unico della civiltà giapponese: questo orientamento, che si è manifestato nella filosofia (Watsuji Tetsuro), nella psicoanalisi (Doi Takeo), nell`antropologia (Ruth Benedict), negli studi culturali (Augustin Berque), nella sociologia (Robert Bellah), nella linguistica (Suzuki Takao), focalizza la propria attenzione sull`eccezionalità del caso giapponese rispetto al resto del mondo. Il Nihonjinron è tuttavia stato oggetto di una critica serrata (fra l`altro da Peter N. Dale in The Myth of Japanese Uniqueness, Palgrave Macmillan 1986) che ne ha messo in evidenza l`arbitrarietà. Non di rado l`esaltazione enfatica della giapponesità si fonda sulla trasposizione in Giappone di un mito occidentale: quello della comunità etnica (Gemeinschaft) opposta alla società borghese (Gesellschaft), secondo l`antitesi formulata nel modo più chiaro già alla fine dell`Ottocento da Ferdinand Tönnies.
In Giappone la rivolta contro l`occidente ha ampiamente attinto a questa ideologia, conducendo al fanatismo nazionalistico del kokutai. Non a torto perciò è stato osservato che molto spesso la lotta contro l`occidente ha le proprie radici nel pensiero tradizionalista europeo e nella sua ostilità nei confronti della civiltà urbana, del razionalismo, del benessere e dello straniero. L`idea che Eisenstadt ha del Giappone esula tuttavia dagli schemi del Nihonjinron, e non costituisce una forma di occidentalismo (cioè un tradizionalismo di origine occidentale giocato contro l`occidente). Secondo Eisenstadt la globalizzazione implica che tutte le società del mondo sono o saranno presto moderne: i termini del conflitto perciò non sono più individuabili nella polarità tra modernità e tradizione, bensì tra differenti tipi di modernità. Questi nuovi conflitti non sono solo economici o politici, ma coinvolgono diverse concezioni della modernità. Anche considerando il problema solo dal punto di vista economico, le modernità si distinguono tra loro a seconda della diversa regolazione di quattro elementi fondamentali: mercato, regulation, intervento, welfare. Dal punto di vista politico, i fondamentalismi sono considerati da Eisenstadt come sviluppi paradossali del giacobinismo; essi perciò non costituiscono affatto un ritorno all`ancien régime, ma sono la trasposizione in chiave moderna di alcune utopie eterodosse nate e sviluppatesi in prossimità delle grandi religioni. Dato che la strada maestra della modernità ha subito un processo di cristallizzazione, per cui nulla di veramente importante e decisivo più accade lungo la sua traettoria, prevale la ricerca di un ordine alternativo che sia "migliore" di quello esistente, vale a dire la ricostruzione di un ordine mondano secondo una visione trascendente articolata in modo rigido. Secondo Eisenstadt, la modernità dei movimenti fondamentalistici è chiaramente visibile nell`adozione di una disciplina di tipo partitico, nell`uso della moderna tecnologia comunicativa e delle tecniche di propaganda, nonché nella credenza della possibilità della trasformazione della società attraverso una mobilitazione politica di ampio raggio. Nei confronti di questi sviluppi della modernità, il Giappone rappresenta l`eccezione, perché esso è una cultura non assiale.
Se in Occidente l`avvento del nuovo implica il rifiuto del vecchio, secondo il paradigma della Querelle des anciens et des modernes, niente di simile avviene in Giappone. Il processo attraverso il quale si è sviluppata dal 1868 ad oggi la sua modernizzazione non costituisce un fatto nuovo nella sua cultura, perché ripete una dinamica millenaria.
L`atteggiamento che la cultura giapponese ha nei confronti dell`Occidente è lo stesso che ha caratterizzato per più di mille anni i suoi rapporti con la Cina. Ci troviamo dunque di fronte a una esperienza storica per la quale le nozioni di ibridazione e di crossing sono inadeguate. Infatti non si tratta della mescolanza e dell`incrocio tra contenuti differenti ed eterogenei: qualsiasi contenuto viene sottoposto a un processo di decostruzione che lo rende adatto a essere posto accanto a qualsiasi altro senza entrarvi in conflitto, per quanto opposto e antitetico sia stato nella sua versione originaria. È perciò una pratica di giustapposizione quella che appare più consona a spiegare l`attitudine dei giapponesi nei confronti di ciò che è estraneo: una giustapposizione, va inoltre rilevato, fortemente permeata di una tonalità estetica, che risulta di gran lunga predominante sull`etica e sulla metafisica. Molteplici modelli di tradizione e di modernità convivono in Giappone senza interferire l`uno con l`altro. Ciò che invece si rivela assolutamente refrattario a convivere con l`esistente viene prima o poi espulso dalla cultura giapponese. Così è avvenuto per il cristianesimo agli inizi del secolo XVII, per il radicalismo rivoluzionario della contestazione studentesca nel 1972 e per l`escatologia fondamentalistica della setta Aum nel 1995. In altre parole, tutto ciò che è nuovo suscita un grande interesse e trova spazio in Giappone, eccetto la mentalità assiale estrema tipica delle sette eterodosse dell`Occidente. Restano infine aperte alcune domande: la strategia culturale della giustapposizione è una caratteristica unica e specifica del Giappone, oppure si ritrova in altre civiltà? La civiltà occidentale è così esclusivamente assiale, come pretende Jaspers, oppure sono esistite ed esistono all`interno dell`Occidente tendenze non assiali che si sono manifestate precocemente sia nella Grecia antica che nella Roma antica? Per esempio, il politeismo greco e romano hanno praticato una strategia di giustapposizione. Nel mondo moderno alcune componenti del cattolicesimo e dell`illuminismo hanno ereditato dal mondo classico la stessa attitudine. Infine nel mondo contemporaneo la giustapposizione sembra più adatta a garantire insieme l`identità delle culture e la tolleranza di quanto non faccia il melting pot.

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