Gianni Vattimo I

La premessa di Vattimo è la denuncia del carattere mistificatorio sia della dialettica sia dell’organicismo, i quali si trovano d’accordo nel proporre una risoluzione delle opposizioni in una visione estetica caratterizzata dall’equilibrio, dall’armonia, dalla compiutezza e perfezione formale. Già per Schopenhauer questa visione in ultima analisi unitaria dell’essere è soltanto maschera ed apparenza: ma mentre Schopenhauer opponeva ad essa una “cosa in sé” che soffre di profonde lacerazioni, Vattimo - seguendo Nietzsche - rifiuta la stessa opposizione tra realtà ed apparenza come appartenente ad concezione metafisica dell’essere che svaluta e disprezza il mondo sensibile. L’opposizione da prendere in considerazione non è perciò quella tra realtà ed apparenza, ma quella tra due tipi diversi di apparenze: un’apparenza “cattiva” e un’apparenza “buona”. La prima, per esorcizzare la paura, l’insicurezza, la lotta per l’esistenza da cui nasce, ha bisogno di esibire una realtà metafisica, un valore trascendente, una verità assoluta; essa è perciò menzognera e ingannatrice. La seconda, l’apparenza “buona”, è invece quella che non cela la natura illusoria e sempre mutevole dell’esperienza umana e che non cerca di sottrarsi alla sovrabbondanza e alla multiformità del divenire. La nozione di maschera assume perciò nel pensiero di Vattimo un ruolo centrale ed è solo all’interno di essa che è possibile pensare una opposizione: tra la maschera “cattiva” che si spaccia per realtà e la maschera “buona” che si dà per quella che è. In altre parole Vattimo elimina fin dall’inizio non solo il pathos della verità tipico dell’idealismo, ma anche il pathos dell’autenticità tipico dell’esistenzialismo: il conflitto non è tra due opposti contradditori (come pensava la dialettica), né tra due opposti polari (come pensava l’organicismo), ma tra due entità simili, legate da rapporti di profonda affinità e avvinghiate in un gioco estetico di mimetismi, di duplicazioni e di rispecchiamenti. La somiglianza non genera solidarietà né connivenza, ma competizione e alternanza. Vattimo sembra così interpretare filosoficamente un’idea che appartiene al sapere politico italiano tradizionale, secondo la quale il vero nemico non è il più lontano e il più diverso, ma il più prossimo e il più simile.
Infatti fintanto che regge l’opposizione tra la realtà e l’apparenza, tra il volto e la maschera, tra la verità e la menzogna, ognuno sta al suo posto: da un lato c’è il positivo, l’essere, la ratio , il bene, il patriarcato, l’organizzazione funzionale del lavoro; dall’altro c’è il negativo, il divenire, il dionisiaco, il male, la trasgressione, la bohème. Ma questa opposizione, su cui si era retta negli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta tanto l’ideologia cattolica quanto quella comunista, è andata in frantumi a partire dal momento in cui la liberazione dall’illusione, diventa liberazione dell’illusione, cioè straripamento del mondo simbolico, prima confinato nella marginalità dell’arte, nella vicenda storica della seconda metà degli anni Sessanta e nel decennio successivo. Ciò avviene anche in relazione con una serie di fenomeni storico-sociali, quali la fine della guerra fredda, la diffusione dei mass media, l’aumento dei consumi, l’influenza del concilio Vaticano II, l’emancipazione sessuale e la contestazione, su cui l’attenzione di Vattimo si sofferma marginalmente, ma che costituiscono il retroterra storico-sociologico della sua interpretazione di Nietzsche. L’importante è in ogni caso l’appannamento e l’eclisse delle opposizioni della filosofia classica su cui tanto il gramscismo quanto l’organicismo si fondavano: questi appaiono a Vattimo come i portatori di una menzogna “menzognera” , cioè irrigidita e sclerotizzata. Ad essi oppone l’esperienza dionisiaca che è portatrice di una menzogna “veritiera”, perché si rinnova continuamente in nuove forme. Tra l’una e l’altra tuttavia non sussiste una differenza abissale, né un antagonismo assoluto, proprio perché in fondo entrambe menzogne, con la diversità che una sa di essere tale, mentre l’altra è vittima di un autoinganno. In questo senso vanno intese affermazioni a prima vista paradossali sulla menzogna: infatti la maschera “buona” riscatta la menzogna da ogni elemento di inganno proprio perché la menzogna è inevitabile, quasi “necessaria” e “divina”.
Dall’ approfondimento di tali premesse deriva lo “smascheramento dello smascheramento” che costituisce il nucleo del secondo periodo della riflessione di Nietzsche, aperto da Umano, troppo umano. Vattimo, per il quale il pensiero nietzschiano resta attraverso le varie fasi dotato di una intrinseca coerenza, sottolinea i momenti di continuità storica che legano la “buona” maschera alla “cattiva”. Il più importante di questi momenti è rappresentato dall’Illuminismo e dalla sua strategia smascherante e demitizzante: la sua critica mette in dubbio l’autonomia dei valori simbolici della cultura, della morale e dell’arte su cui si fondava la metafisica. Ma l’Illuminismo non costituisce una vera alternativa al pensiero metafisico: esso è un prodotto di quella stessa ragione che ha creato il mondo trascendente dell’essere, del bene e del bello. La relativa autonomia di tali entità si rivela ormai inadeguata alle esigenze economiche e organizzative della società capitalistica, la quale non può più permettersi il lusso di sostenere le attività non immediatamente collegate con la produzione: “Idee come quella della libertà della cultura, dell’autonomia della filosofia, della letteratura e dell’arte, la stessa idea di una distinzione della morale dall’economia, cioè della possibilità di un’azione disinteressata, testimoniano di un periodo della storia umana in cui la funzionalità produttiva-organizzativa del mondo dei simboli, cioè del mondo della finzione (...) asservita a scopi di utilità e di rassicurazione, era a sua volta mascherata e coperta da una serie di mediazioni” (p. 83). Ma il capitalismo non ha più bisogno di queste mediazioni e tende a concepire come meramente parassitarie le attività dell’artista e del dotto ! In altre parole la perdita di autonomia del mondo simbolico, di cui il professore universitario ha costituito nell’Ottocento e ancora nel Novecento la massima incarnazione, è un prodotto di quella stessa ratio che ha prodotto tale autonomia. Lo smascheramento produttivistico e performativo non lascia “più tempo né energia - dice Nietzsche - per il cerimoniale, per i giri tortuosi della cortesia, per ogni esprit nella conversazione, e soprattutto per l’otium” . Del resto proprio i pensatori ironici come Vattimo (e in misura anche maggiore Eco) rappresentano l’avvento di un nuovo tipo di studioso e di filosofo non più ingessato nella solennità aurata e rituale del “maestro” di cui Pareyson fornì una potente rappresentazione. Ciononostante dal punto di vista di Vattimo, tra autonomia del mondo simbolico e smascheramento illuministico esiste più continuità che rottura.
Proprio questa continuità induce a vedere nello smascheramento illuministico qualcosa di ingenuo e di mistificatorio. Infatti esso nutre la pretesa di mettere a nudo una realtà e una verità nascosta; ma l’affermazione di una realtà contrapposta all’apparenza, di una verità contrapposta alla menzogna è appunto un’eredità di quel pensiero metafisico che si vuole con tanta energia smacherare. Quindi lo smascheramento illuministico deve essere a sua volta smascherato: esso è la continuazione della ratio metafisica sotto altre spoglie, la variante economicistica di un pensiero violento che vuole esorcizzare la paura della morte attraverso la costituzione di certezze, la rimozione dello stato di insicurezza attraverso la subordinazione di ogni momento della vita ad un obiettivo futuro irraggiungibile. Secondo Nietzsche, “il furibondo lavoro senza respiro” dell’uomo “con l’orologio alla mano” e “l’occhio sul bollettino di Borsa”, che vive col timore continuo che qualcosa gli sfugga, mostra una totale incapacità di stare nel presente e quindi un radicale allontanamento dall’esperienza sensibile e dalla sua infinita ricchezza. Sotto questo aspetto sia l’uomo metafisico sia quello illuministico sono nichilisti, perché misconoscono tale ricchezza e la sostituscono con l’affermazione di un forme di rassicurazione oppressiva del tutto prive di consistenza. Implicitamente così Vattimo si pone al di là di unaquerelle che ha avuto una grande importanza nella storia italiana degli ultimi due secoli, quella tra cattolicesimo e pensiero laicistico ispirato agli ideali dell’Illuminismo. Il suo motto potrebbe essere: né Dio né Ragione.
Copyright©MarioPerniola 1999
Testo pubblicato in "Le ultime correnti dell’estetica in italia”, estratto dal volume “Il Novecento. Scenari di fine secolo,” Milano, 2001.

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