Umberto Eco II

Ironia tuttavia non vuol dire comicità. Nel saggio Il comico e la regola (1980) , Eco prende le distanze nei confronti delle teorie che attribuiscono alla comicità un carattere liberatorio ed eversivo. A suo avviso, in un regime di permessività assoluta non c’è carnevale possibile, perché nessuno si ricorda di ciò che viene messo in questione. In realtà il comico non è tanto diverso dal tragico: mentre nel secondo la regola viene sempre evocata, nel comico è taciuta, ma questo non vuol dire che non sia sempre operante: “la regola introiettata dal comico è talmente riconosciuta che non c’è bisogno di ribadirla”. Il rapporto comico-tragico è perciò fuzzy, oscillante: ciò spiegherebbe “perché mai proprio l’universo dei mass media sia al tempo stesso un universo di controllo e regolazione del consenso e un universo fondato sul commercio e sul consumo di schemi comici. Si permette di ridere proprio perché prima e dopo la risata si è sicuri che si piangerà”. Non diversamente nel saggio Pirandello ridens (1969) , Eco sostiene che “si ride proprio e solo per ragioni assai tristi”. Il riso implica una forte esperienza del conflitto: “gli angeli non ridono (...); il diavolo sì”.
In effetti, sarebbe del tutto errato considerare l’estetica fuzzy come un’estetica conciliativa in cui le determinazioni opposte si scambiano e si confondono le une con le altre. Gli scritti più recenti di Eco prendono in attenta considerazione la tendenza a considerare tutto simile a tutto. Le origini di questo orientamento devono essere cercate nel neoplatonismo, il quale appunto pretende di eliminare le opposizioni e pone al sommo della scala degli esseri una entità inafferrabile e oscura (l’Uno) da cui tutto deriva per emanazione. Ne consegue che tutti gli esseri hanno un rapporto di affinità tra loro: il neoplatonismo, pur pensando l’Uno come il luogo della coincidenza degli opposti, anzi proprio per questo, è non solo un pensiero della conciliazione, ma anche un pensiero dell’elusione. Infatti l’Uno è in se stesso insondabile ed inesprimibile; quanto all’universo essendo retto da una rete di similitudini e di simpatie cosmiche, di esso si può dire tutto e il contrario di tutto. Ogni determinazione si rivela insufficiente e inadeguata.
Il volume I limiti dell’interpretazione (1990) contiene una critica serrata e puntuale del neoplatonismo, la cui strategia comunicativa viene definita “semiosi ermetica”. Si tratta per Eco di una forma patologica della comunicazione, la cui influenza nefasta si estende attraverso i millenni, dall’ermetismo ellenistico al romanticismo, dal rinascimento al decostruzionismo. Il punto di partenza dell semiosi ermetica deve essere rintracciata nel sincretismo ellenistico: “molte cose possono essere vere nello stesso momento anche se si contraddicono” (p. 43), ma se si contraddicono esse cont11ono un messaggio segreto e dicono altro da ciò che sembrano dire. Tuttavia poiché ogni cosa ha rapporti di analogia, continuità e somiglianza con qualsiasi altra cosa, qualsiasi determinazione sarà inadeguata: non appena si scopre che c’è un significato privilegiato, si può essere certi che non è quello vero. La semiosi ermetica rimanda così ad una interpretazione infinita che non si può mai arrestare e il cui unico contenuto è in fondo l’affermazione della coincidenza degli opposti. “Il pensiero ermetico trasforma l’intero teatro del mondo in fenomeno linguistico, e contemporaneamente sottrae al linguaggio ogni potere comunicativo” (p.45). Il sincretismo ermetico peraltro non induce i suoi seguaci ad un atteggiamento di umiltà: al contrario, poiché diffida di tutte le determinazioni e di tutte le opere, crea un vuoto che viene riempito dalla presunzione di detenere il segreto del mondo; il fatto che questo segreto sia inesprimibile pone l’adepto dell’esoterismo ermetico al riparo da ogni verifica e da ogni controllo e potenzia la sua arroganza.
Per Eco il fatto che gli opposti siano fuzzy, sfumati ed oscillanti, non implica che essi siano inesistenti : “anche se il mondo fosse un labirinto, non potremmo attraversarlo senza rispettare certi percorsi obbligati” (p.6). I messaggi e i testi possono avere molti significati, ma non tutti i significati! Non si ha “il diritto di dire che il messaggio può significare qualsiasi cosa” (p.9). “C’è un senso dei testi, oppure ce ne sono molti, ma non si può dire che non ce n’è nessuno, o che tutti sono egualmente buoni “ (p.55). L’attenzione di Eco non si focalizza perciò né sull’intentio auctoris (su ciò che l’autore voleva dire), né sull’intentio lectoris (su ciò che il lettore legge nel testo): la prima è troppo limitata, la seconda troppo arbitraria. Ciò che è importante è l’intentio operis : in altre parole, esistono dei diritti del testo che non devono essere cancellati dall’indeterminazione ermetica e che finiscono col coincidere con la causa della filosofia, in quanto discorso attento al suo ordine procedurale. Le estetiche conciliative sono tutte riportabili alla semiosi ermetica: il loro difetto fondamentale consiste non tanto nell’apologia dell’esistente (come secondo la critica ad esse rivolto dal pensiero radicale), quanto nell’autoannullamento del messaggio cui esse conducono. Omnis determinatio est negatio , diceva Spinoza. Un pensiero indeterminato è semanticamente e strategicamente inefficace. La tesi di Eco consiste nell’opporre qualcosa al qualsiasi cosa neoplatonico .
Il pensiero dell’opposizione fuzzy trova un’importante applicazione in due articoli di Eco sulla guerra. Nel primo Pensare la guerra (1991) Eco sottolinea il fatto che non esistono più due fronti opposti nettamente separati : “l’esistenza di un società dell’informazione istantanea e dei trasporti rapidi, della migrazione intercontinentale continua, unita alla natura della nuova tecnologia bellica, ha reso la guerra impossibile e irragionevole. La guerra è in contraddizione con le stesse ragioni per cui è fatta”. La guerra oggi non mette più di fronte due termini opposti; mette in concorrenza infiniti poteri. Essa non è descrivibile nei termini di un sistema seriale, configurato come una struttura di disgiunzioni seriali binarie; ci troviamo di fronte ad un sistema parallelo (o neo-connessionista) che si assesta secondo una distribuzione di pesi imprevedibile. In altre parole, è impossibile pensare il conflitto odierno secondo la logica dell’idealismo tedesco: esso è infatti simile ad una partita a scacchi in cui entrambi i giocatori mangiano e muovono pezzi di uno stesso colore. Questa analisi è sviluppata ed approfondita nell’articolo Quando la guerra è un’arma spuntata (1999) nel quale si distingono le caratteristiche opposte della paleoguerra e della neoguerra . Le condizioni della prima erano tre: “che al nemico dovessero essere tenute segrete le nostre forze e le nostre intenzioni, in modo da poterlo prendere di sorpresa; che ci fosse una forte solidarietà nel fronte interno; che infine tutte le forze a disposizione fossero utilizzate per distruggere il nemico”. Ora queste condizioni sono venute meno nella neoguerra , la quale presuppone flussi d’informazione inarrestabili, dà continuamente la parola al nemico e si muove all’insegna del vittimismo. Alla paleoguerra, che costituisce il modello di ogni conflitto dialettico o polare, succede la neoguerra nella quale muore lo stesso “un sacco di gente”, ma non si vince, anzi si perde sempre, perché le dinamiche e le articolazioni del conflitto sono troppo numerose e incontrollabili.
Pertanto è errato vedere in Eco un atteggiamento cinico, disimpegnato o estetizzante. Al contrario il pensiero di Eco è segnato da un forte pensiero dell’opposizione; il riconoscimento della pluralità delle forme in cui questa si dispiega non esclude la permanenza e la coerenza della sua lotta contro due nemici storici. Il primo è rappresentato da quella tendenza che pretende di confondere tutto con tutto: tale tendenza si è manifestata in molte forme, che vanno dall’ermetismo al neoplatonismo, dal fascismo al New Age. Nei confronti di essa nessuna indulgenza è possibile: la logica e la morale vanno d’accordo nell’escludere che si possa dire simultaneamente tutto e il contrario di tutto. Il secondo nemico storico di Eco è la guerra: essa è qualcosa di intollerabile per motivi che sono ancora insieme logici e morali. Oggi la guerra ha perduto completamente ogni dimensione epica e perfino strategica, proprio perché vincere attraverso di essa è diventato impossibile. Il bellicismo ancor prima di essere immorale, è demenziale. Ciò che non viene mai meno in Eco è perciò la dignità del pensiero, dinanzi al quale tutti gli aspetti della realtà in ultima istanza devono comparire, almeno nella misura in cui veicolano segni.
Copyright©MarioPerniola 1999
Testo pubblicato in "Le ultime correnti dell’estetica in italia”, estratto dal volume “Il Novecento. Scenari di fine secolo,” Milano, 2001.

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