Autori ed editori 1

Il problema non è comprare i libri, ma trovare il tempo di leggerli, da ”Il Manifesto”, 23 novembre 2006
È difficile sottrarsi all`impressione che la produzione e l`industria culturale si trovino in un momento critico, nel duplice senso di difficile e di decisivo, caratterizzato da fenomeni apparentemente contradditori, suscettibili d`interpretazioni divergenti. Ad una sovrapproduzione editoriale straripante corrisponde una diminuzione drastica non solo della quantità di tempo dedicato alla lettura dei giornali e dei libri,  ma anche  della  loro capacità d`influenza sull`opinione pubblica, sulla  formazione culturale e perfino sull`audience specialistica; in altre parole, esiste  uno squilibrio crescente  tra ciò che si scrive e ciò che si legge. Se una volta era difficile pubblicare e raggiungere un pubblico vasto o competente,  ora è ancor più difficile che gli acquirenti  leggano effettivamente ciò che hanno comprato (non importa se si tratta di un classico letterario o dell`opera di un esordiente o dell`articolo di un giornale). E` il noto fenomeno dell`interpassività: il consumo di un prodotto culturale risulta molto più oneroso del suo acquisto. Non si tratta di qualcosa di  veramente nuovo:  già negli anni Sessanta il successo di vendita dell`Ulisse di  James Joyce non corrispondeva affatto ad effettiva  fruizione di quest`opera. Con la globalizzazione tuttavia tale fenomeno ha assunto un aspetto nuovo: i dieci o cento o mille lettori che uno scrittore cercava all`interno della propria cultura nazionale, ora li può trovare solo nel mondo intero.
    Aumenta così la divaricazione tra il punto di vista degli editori,  che restano legati ad una dimensione nazionale, e quello degli autori  che,  anche in seguito alla diffusione di Internet, sono proiettati verso un`audience dislocata in tutta la terra. Le prime vittime di questa situazione sono le librerie, le quali devono ripensare completamente il loro ruolo e fornire servizi che Amazon non può dare. Ma subito dopo sono gli editori ad essere danneggiati, in quanto diffusori di una merce che  riescono, solo in minima parte, a portare  direttamente sul mercato globale.  Certamente anche gli autori, essendo legati alle lingue nazionali, sono costretti a ricorrere alla mediazione dei traduttori, ma tra autore e traduttore esiste un coinvolgimento reciproco che è maggiore di quello esistente tra editori di differenti nazioni.
     Agli editori sfugge sempre più l`essenziale: il fatto che comprano e vendono cose di cui non conoscono il valore globale e la dinamica economica.  Basandosi quasi esclusivamente su dati quantitativi, come il numero di copie  vendute nell`anno precedente sul mercato nazionale (la quale è influenzata da una serie di fattori contingenti), non conoscono l`economia dei valori culturali, la quale è retta da una serie di fattori molto complessi. Sono come collezionisti che non sanno distinguere le croste dai dipinti abbastanza buoni: probabilmente non hanno nemmeno voglia di distinguerli, perché contano o sperano nelle sovvenzioni pubbliche e private.
    Contrariamente a coloro che addossano tutte le disgrazie della cultura all`economia, io tendo a pensare piuttosto il contrario. Mi sembra  che le difficoltà in cui versano gli scrittori derivano dal fatto che l`industria culturale non solo conosce, ma non vuole conoscere l`economia globale dei valori simbolici, per la ristrettezza dell`orizzonte nazionale e per la scarsa informazione su ciò che avviene negli altri campi culturali (dall`università a Internet, dalle professioni alle arti). Qui non mi riferisco ai   contenuti, ma ai dispositivi, alle emergenze e  alle forme di  governance  che interagiscono all`interno di questi campi. Se da un lato la maggior parte degli autori deve imparare a scrivere per un mercato globale, dall`altro quasi tutti gli editori non conoscono la logica economica che regge il mercato su cui pretendono di stare.

 

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